di Giorgio Bongiovanni
Ecco perché la strage Borsellino è un omicidio di Stato. Una sola mossa. Durata, forse, una manciata di minuti per far sparire tutto, sino all’ultima traccia, quanto Paolo Borsellino sapeva, aveva capito, cercava disperatamente di provare. Non era infatti sufficiente disintegrare lui, farlo saltare in aria assieme ai ragazzi e ragazze della sua scorta.
Era ugualmente e altrettanto necessario trafugare, sottrarre e far sparire l’agenda rossa del giudice Borsellino. Quella annuale dell’Arma dei Carabinieri da cui il magistrato non si separava mai, quella che conteneva tutte le sue annotazioni più riservate, le più importanti, raccolte nei 56 giorni di corsa estenuante che separano Capaci da Via D’Amelio.
Agnese Piraino Leto, la vedova Borsellino, ha spiegato più e più volte agli inquirenti con quanta attenzione il marito si assicurava di portare sempre con sé quell’agenda sulla quale scrisse anche domenica 19 luglio 1992.
La famiglia si trovava nel villino di Villagrazia di Carini dove il giudice, in tempi che non conosceva più, amava rilassarsi e godere dell’affetto di propri cari. Quello era il primo giorno di quasi riposo dalla morte del collega e amico Giovanni Falcone, il suo “scudo umano”. Anche lui dilaniato da una bomba il 23 maggio con la moglie Francesca Morvillo e i ragazzi della scorta. Non era riuscito a dormire però durante il suo consueto sonnellino dopo pranzo, come raccontano i numerosi mozziconi di sigaretta rimasti nel portacenere. Si era solo ritirato nella sua stanza. Chissà quali e quanti pensieri affollavano la sua mente. Forse gli stessi con cui - racconta la moglie - quello stesso giorno riempì, con la fitta e complicata scrittura, le pagine dell’agenda rossa.
Nessuno tra le persone che gli furono più vicine conosce il contenuto di quelle riflessioni. Non le aveva confidate né ai famigliari né ai suoi colleghi più stretti. Forse per proteggerli.
Qualcun altro, invece, se non sapeva esattamente cosa vi era scritto, lo immaginava e non poteva correre il rischio che venisse reso pubblico.
Mentre via D’Amelio bruciava nell’inferno di corpi e lamiere sparpagliati in ogni dove, un uomo emergeva dal fumo, prendeva la valigetta del giudice per poi riposizionarla, poco dopo, sul sedile posteriore della croma. Leggermente annerita la borsa da lavoro del giudice è rimasta pressoché intatta. Dentro vi era tutto, compreso il costume da bagno ancora umido, ma non l’agenda rossa.
Qualcuno sapeva che era lì dentro.
Qualcuno sapeva di doverla far sparire immediatamente.
Continua
martedì 3 febbraio 2009
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