martedì 13 gennaio 2009

Un patto Cosa Nostra – ‘Ndrangheta?

Oggi riporto qui in prima pagina il pezzo che mi ha colpito di più di un articolo trovato nella rassegna stampa di 19 luglio 1992 , blog di Salvatore Borsellino (grande vanna Lora che ogni giorno lavora per noi!!). L'articolo è molto tecnico, si riportano nomi di famiglie ed intrecci....cmq molto interessante e chi è interessato lo può trovare a questo Link.
Io riporto solo la parte più preoccupante, la domanda che si pone la giornalista : un patto Cosa Nostra – ‘Ndrangheta?
Io solo una cosa posso aggiungere...niente unisce di più degli interessi economici e di potere.
Tanto poi i patti sono fatti per essere rotti a seconda della convenienza...
In basso il libro "La Società sparente".

Un patto Cosa Nostra – ‘Ndrangheta?
Nei primi mesi del 2008, all’interno della Casa circondariale di Tolmezzo, dove è rinchiuso, il boss Giuseppe Piromalli sfrutta l’ora di socialità per riunirsi e discutere di affari e strategie con altri boss detenuti come lui con i rigori del carcere duro. Tra questi, capi siciliani di Cosa Nostra della portata di Antonino Cinà con i quali si confronta, scrivono i magistrati nel decreto di fermo, in merito allo “speciale regime detentivo di cui all’art. 41bis contro la cui applicazione le organizzazioni mafiose calabrese e siciliana cercano di fare fronte comune attraverso l’elaborazione di una strategia unitaria”. L’episodio, che si riallaccia alle parole pronunciate dall’Arcidiaco, sembrerebbe rivelare l’esistenza di un patto tra Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta. E in questa chiave potrebbero essere letti i contatti privilegiati dei Piromalli con i Santapaola di Catania e soprattutto il recente incontro tra Gioacchino Piromalli, cugino dell’attuale indagato Antonio, e soggetti appartenenti al mandamento di Brancaccio.
Rapporti ancora tutti da vagliare ai quali nello scorso mese di aprile alcuni organi di stampa, a seguito di pericolose indiscrezioni, avevano dato ampio risalto suscitando le ire del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso (vedi articolo “Offensiva Reggio” in ANTIMAFIADuemila n. 58) e le conseguenti reazioni dei boss. Tutto il gruppo dei siciliani, in particolare, ricordano i giudici, “chiedeva di parlare con l’Autorità Giudiziaria di Palermo per chiarire a loro modo il contenuto delle dichiarazioni captate” all’interno del carcere di Tolmezzo. Mentre Giuseppe Piromalli, durante il primo colloquio con i familiari seguito agli accadimenti, si dilungava in precisazioni di comodo sull’argomento e dimostrava la piena consapevolezza che quel discorso era registrato dagli inquirenti.
“...che lo sappia la Distrettuale ... di Reggio Calabria che lo sappia il Ministero ... perché a me il 41 ... mi sta bene”, sono le parole del boss, che ai familiari spiegava: “quando vogliono distruggere qualcuno ... lo Stato ... i Servizi ... sanno come fare...”. Poi, rivolto al figlio, riprendeva ad impartire direttive con quelle mezze parole e quel linguaggio criptico che caratterizzava la maggior parte dei colloqui tra i due uomini d’onore e che dimostra, ancora una volta, come quel regime carcerario non impedisca in realtà ai boss di comunicare tra loro. Sia all’interno del carcere, come i fatti dimostrano, che verso l’esterno. Né di “spezzare definitivamente il potere di controllo dei capi famiglia sugli interessi della ‘ndrina”. Tanto che, lo specifica ancora il documento, “è Giuseppe Piromalli il vero capo della cosca”, sì che il figlio Antonio “per ottenere risposte positive alle sue richieste” deve presentarsi a suo nome.
Ed è proprio l’Antonio a soffrire particolarmente “la difficoltà di mantenere rapporti stabili ed utili” con il padre “a causa della pesantezza del regime carcerario cui era sottoposto”. E soprattutto in quel periodo storico in cui in Gioia Tauro, turbati gli equilibri interni, si avvicendavano attentati e danneggiamenti ad esercizi pubblici, sintomatici dell’approssimarsi di quella crisi che la cosca non si poteva consentire.
E’ in questo precario contesto mafioso che si intensificano i rapporti tra Antonio Piromalli, Gioacchino Arcidiaco e Aldo Miccichè, intorno ai quali ruotano tutta una serie di contatti con personaggi istituzionali o paraistituzionali avvicinati, in primo luogo, per risolvere proprio la posizione di Giuseppe Piromalli.
Perno di quei contatti, lo stesso Miccichè, che ai suoi due “pupilli”, dal lontano Venezuela, mette a disposizione notevoli agganci e preziosi consigli. Primo fra tutti: utilizzare per le proprie conversazioni telefoniche soltanto numeri riservati, intestati a soggetti “puliti” e, in casi estremi, parlare sì, ma facendo ricorso a linguaggi in codice.

LA SOCIETA' SPARENTE Di Emiliano Morrone e Francesco Saverio Alessio.
"La società sparente" , che denuncia i rapporti fra ’ndrangheta e politica in Calabria, continuando sulla linea di impegno a difesa della propria terra tracciata da Roberto Saviano con "Gomorra".
Scaricato da http://www.lavocedifiore.org/SPIP/

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