"Quando mio padre Vito trattava con i boss mafiosi"
Di Attilio Bolzoni 21 Dicembre 2008
PALERMO – e’ un testimone che ha un nome molto pesante. Da paura. Si chiama Ciancimino. Non è un omonimo del potente Don Vito e nemmeno un lontano parente: è suo figlio. Parla dei segreti che il padre si è portato nella tomba. Parla di Totò Riina e Bernardo Provenzano, di patti con lo Stato e stragi. La sua verità è dentro sette interrogatori che sono stati secretati. E spediti ai magistrati di Caltanisetta che indagano sull’uccisione del procuratore Borsellino.
L’ultimo mistero siciliano si nasconde nei ricordi del più piccolo dei 5 figli di quello che fu il sindaco di Palermo, lo scapestrato e spericolato Massimo dalla dolce vita, lussi, feste e tanti “piccioli”. E’ questo quarantacinquenne che fino a qualche tempo fa da ragazzino viziato e prediletto da papà che sta rivelando le trame della “stagione dei massacri”, le bombe di Capaci e via D’Amelio del 1992, quelle altre che portarono morte nel 1193 a Firenze e a Roma e Milano.
Massino Ciancimino ha cominciato a riempire verbali nel giugno 2008 – ascoltato dai procuratori palermitani Antonio Ingroia e Nino Di Matteo - e da allora non si è più fermato. Tecnicamente è un teste. Nella lista accanto a lui ci sono però altri due uomini : Giovanni Brusca e Antonino Giuffrè. Due pentiti. Tutti e tre descrivono cosa accade…
( continua)
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