( notizia gennaio 2008)In questi giorni, a Roma, grazie allo spettacolo teatrale "L'istruttoria", basato sugli atti processuali dell'omicidio di Giuseppe Fava, viene ricordata la figura dell' intellettuale siciliano ucciso dalla mafia.
di Andrea Camboni
Giuseppe Fava era giornalista e scrittore, uomo di teatro, ammazzato con cinque colpi sparati alla testa proprio davanti allo Stabile di Catania che tante volte aveva dato asilo alle opere del drammaturgo del siracusano. La sera del 5 gennaio 1984 la nipote di Fava recita nella sala grande dello Stabile, intitolata a Giovanni Verga, la commedia di Pirandello “Pensaci, Giacomino!”.
Beppe Fava, poco prima delle 22.00 lascia la redazione de “I Siciliani” e con la sua Renault 5 attraversa Catania per raggiungere la nipote a teatro. In via dello Stadio Cibali, oggi via Giuseppe Fava, posteggia la vettura ma nemmeno ha il tempo di scendere che i cinque colpi calibro 7,65 lo raggiungono uccidendolo.
La tragedia si consuma. Finito. Intermezzo di giocolieri che armeggiano col fuoco e può partire la triste commedia della diffamazione. Si disse che la pistola utilizzata per l’omicidio non fosse uno di quei modelli che la mafia adopera solitamente. Visto che la stessa obiezione sarà avanzata nel caso dell’ omicidio Alfano, forse andrebbero riviste le griglie interpretative di tali tipologie di reato.
L’imbarazzante mantra del “mafia non esiste” viene ancora una volta tirato a lucido dai Cavalieri dell’Apocalisse e da tutta quella schiera di maniscalchi dell’Amministrazione Pubblica che battono il ferro finché è caldo. Le piste del delitto passionale e del movente economico, vista la malversazione finanziaria de “I Siciliani”, mettono tutti d’accordo, a parte gli onesti, e per questo sono inizialmente fiutate alla maniera dei cani che fiutano una preda. I cani poliziotti delle“Forse dell’Ordine” e quelli da riporto della “stampa” che fiutano allergici al polline di chi è stato impallinato.
Semplicemente geniale (tanto che Alfano lo copiò 9 anni dopo) la morte che Fava s’era scritto da sé, per sé. Che dipartita s’era inventato! Un personaggio che si presenta come “un mascalzone, un ricattatore e uno che andava fuori dalle scuole a reclutare ragazzine”, un tipo mafioso, uno che si ammazza sparandosi cinque colpi da dietro. Questa è una storia drammaturgicamente valida. Peccato per il giornalista. Era davvero poca cosa. Nella storia della sua morte Giuseppe Fava avrebbe dovuto inserire la figura di un giornalista completamente diverso da lui, dal suo modo d’operare e di domandare. Che so, un giornalista che fonda un mensile anti-mafia e che pubblica foto di boss, così, per esempio Nitto Santapaola, in compagnia di politici, questori e imprenditori; per dirne quattro presi a caso dall’elenco: Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro. E magari denunciarne pure le attività illecite.
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Per maggiori informazioni ecco la pagina di wikipedia che parla di lui e ricca di notizie sul suo lavoro e vita
Pubblicato da eaglette il 15 Dicembre 2008
domenica 21 dicembre 2008
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